Intelligenza artificiale e scuola

Se e come può essere un’opportunità per alunni e docenti

L’intelligenza artificiale a scuola: fin dove l’algoritmo potrà sostituire il ruolo dell’insegnante? Sarà alleato o rischio per la qualità dell’insegnamento?

Ne ho già scritto non troppo tempo fa, in merito alla prospettiva che il lavoro del giornalista -e in genere di tante altre professioni- potesse essere definitivamente sostituito da un’intelligenza artificiale (leggi qui).

Oggi riprendo il discorso, diventato se possibile ancora più di attualità dopo la recente notizia della scelta di una scuola anglosassone in cui l’intelligenza artificiale ha sostituito interamente il ruolo dell’insegnante, affidandogli materie fondamentali quali matematica, inglese, scienze, informatica e geografia.

Niente più insegnanti in aula, ci saranno tre ‘formatori’ per monitorare l’andamento della classe e -si spera- per fornire quella componente di rapporto umano che è fondamentale nella vita di comunità.

Gli fa eco un entusiasta ministro dell’istruzione Valditara, che vorrebbe sempre più intelligenza artificiale nelle scuole italiane, avviando una sperimentazione su 15 scuole in 4 regioni italiane.

Come andrà?

Lo sapremo tra due anni, ma non dai commenti degli studenti coinvolti, bensì dall’algoritmo delle prove invalsi.

Chiederemo insomma all’oste e non agli avventori se il vino è buono.

Preciso che la mia posizione sull’IA non è negativa a prescindere, ritengo che possa essere uno strumento estremamente prezioso per il futuro, ma allo stesso tempo non posso immaginare che ogni ambito di relazione umana possa essere sostituito da un algoritmo (a proposito, sapevate che il termine ‘algoritmo’ deriva dal nome di “al-Khwarizmi”, importante matematico arabo del nono secolo che introdusse i cosiddetti ‘numeri arabi’ che in realtà sono un’eredità dell’antica India, noti come cifre indo-arabiche).

Tornando alla questione scolastica, mi faccio alcune domande:

1 -“Le piattaforme utilizzate analizzano le prestazioni individuali degli studenti, identificando punti di forza e lacune, per poi adattare le lezioni di conseguenza”.

Ma punti deboli e punti di forza non dovrebbe conoscerli anche l’insegnante?

Certo, se la classe si compone di 30 alunni e i professori ogni anno vengono cambiati, si capisce che non si arriverà mail ad una conoscenza utile per entrambe le parti.

Non costerebbe quindi meno sistemare le classi e lasciare ai professori il tempo e la possibilità di conoscere bene i propri alunni al punto da capirne punti di forza e di debolezza?

2 -“Ogni studente potrà beneficia di un percorso formativo fatto su misura, con contenuti dinamici che si modificano in base ai progressi individuali”, come dire ‘Il medico pietoso fa la piaga infetta’, ossia troppo buonismo non aiuta nessuno. 

La classe è una scuola di vita, sui banchi di scuola si impara a studiare, a condividere, ad aiutare l’amico in difficoltà o il compagno che da solo non ce la fa. Ci sarà ancora questo scambio?

La vita vera, quella fisica e non digitale, il mondo del lavoro, dello sport, delle relazioni non sono fatti su misura per mettercisi comodi.

I ragazzi devono imparare a gestire anche e soprattutto le situazioni meno comode, pena ritrovarsi in difficoltà appena si mette un piede fuori dalla confort zone.

3 – “Tre ‘allenatori dell’apprendimento’ saranno comunque presenti in aula per monitorare il comportamento degli studenti e fornire supporto per quegli aspetti che l’IA non può gestire, come le competenze trasversali, la comunicazione e la crescita personale”.

Ora si chiamano ‘allenatori’, prima venivano chiamati ‘professori’: cambia il nome, ma non si tratta di una novità. Come sopra, non si farebbe prima a investire nelle figure dei professori sia come insegnanti che come educatori?

La scuola ha il compito di formare, istruire ed educare i ragazzi, che però non sono chiavette USB da caricare di dati in modo asettico.

Quindi, va bene pensare di integrare il lavoro dei docenti con l’ausilio dell’IA, un po’ meno l’idea la didattica digitale possa sostituire quella tradizionale: è storia recente il disagio dei ragazzi durante il lock down e costretti a seguire le lezioni in modalità DAD.

Come sarà dunque la scuola nei prossimi dieci anni?

Sicuramente serviranno grandi investimenti tecnologici, ma prima ancora formativi.

Perché è indubbio ci sono scuole pronte a implementare nuove tendenze tecnologiche di insegnamento, ma ce ne sono altre invece che non lo sono per diversi motivi: come fare dunque a dare le stesse opportunità a tutti, evitando istituti di serie A e di serie B?

Non è infatti sufficiente dotarsi di strumenti tecnologici se poi non ci sono le persone in grado di usarli nel modo corretto (avete mai pensato a quei professori che andranno in pensione a 67 anni? Saranno in grado di padroneggiare le nuove tecnologie?)

Insomma, ci sono ancora molti interrogativi anche in ambito scolastico sulla reale efficacia di progetti così avveniristici; sicuramente l’IA, data la sua pervasività nella nostra vita reale, sarà uno dei caposaldi del futuro, ma la buona riuscita dei progetti ad essa riferiti sarà direttamente proporzionale alla gradualità con cui sarà inserita ed adeguata al contesto sociale.

Se si tratterà di un’evoluzione in grado di affiancare in sinergia lo sviluppo della società, allora sarà un successo. In caso contrario rischia di diventare una potente sbornia da cui sarà poi dura riprendersi.

E voi cosa ne pensate?

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